mercoledì 30 settembre 2015

Acqua su Marte





   Quanto mi conforta questa notizia. Da tempo siderale desideravo andarci. Ho rimandato, l'ultima volta per l'intervento di zia Serafina che aveva bisogno del mio braccio per salire le scale della casa del professor Pasqualino, lei piccola e magra come uno scricchiolo. Sentire, ora che zia Serafina si è un po' ripresa, che sul pianeta rosso c'è acqua mi ha riempito di una strana euforia. Io, pendolare di provincia, potrei essere mandato a lavorare su Marte.
   Pare che l'acqua scorra ogni tanto lasciando delle piccole tracce scure. Che cosa simpatica e discreta. Immagino ci siano anche degli animaletti che ogni tanto volano su Marte, magari di martedì mattina (lassù dev'esser sempre martedì): gallinelle, cassiopee, stelle polari, tutte a scendere in quei fiumiciattoli per abbeverarsi e poi tornare in alto al minimo rumore. Arriveranno in corriera da Giove, da Saturno e da Urano in cama-bus, per dissetarsi e riempire bidoncini, gitanti della domenica (ma su Marte è sempre martedì, negozi aperti) o scanzonate comitive agostane in cerca di frescura, come i Messinesi alla fontana di Pace. Ufo-bambini scenderanno dai loro dischi volanti veloci e rapidi come i cardellini che bevono nelle fontane del nostro giardino, fatte da papà pietra su pietra, dove pare si agitino girini. Quest'anno ho messo lì le mie lantane stremate dal caldo come la zia Serafina, con i piedini dentro la vasca, e... Non ce l'hanno fatta: sono mezzemorte, ma chissà non le possa portare adesso lassù, lungo i fiumiciattoli di Marte, e vedere che succede, con una sdraio per il professor Pasqualino ed un ventaglio per la zia Serafina, le lantane di Marte, pianeta lontano adesso più vicino.
   Lo vedrei, quell'arido pianeta, riempirsi adesso di piante e di fiori. Non perché prima non potesse, sia chiaro; l'acqua se c'è, c'era giù prima. Ma che fiorisca per noi anche un fiore solo polveroso di lantana, per dare un po' di gioia alla piccola zia Serafina.

Tilcara

Tilcara, Garganta del diablo 

Quebrada de Humahuaca, la tavolozza del pittore

martedì 29 settembre 2015

Pietre di fiume




   Ci sono momenti osmotici, in cui scompare quasi la membrana tra l'interno e l'esterno, fra sé e il mondo. La rugiada è umidità sulla pelle, il rimbalzo di una cascata che ti avvolge, liquido amniotico o brodo primordiale.
Ma ci sono anche momenti in cui il filtro della ragione si alza necessario, come un setaccio che cerne e secerne, de-cide cosa lasciare passare, seleziona, esprime il suo giudizio, la sua posizione, la propria prospettiva sul mondo.

   Eppure quante volte ci si trova circondati da persone asettiche, che supinamente accettano tutto. Che obbediscono ciecamente a qualunque cosa, approvano qualunque cosa senza la benché minima riflessione, pigramente, interessati soltanto a lasciar passare il tempo per andarsene non si sa dove, a chissà quali impegni. 

   Credo non ci sia disimpegno più colpevole di quello della ragione, dell'adeguarsi acriticamente, dell'abbattere quella membrana che tanto è bello invece lasciar cadere dinanzi a uno spettacolo naturale. Quanto è invece necessario il filtro della ragione dove si tratta di de-cidere, assumersi responsabilità dare valutazioni! Decidere è anche tagliare tra un sì e un no.

   Lasciare accadere il mondo come se noi non fossimo non va bene: anche noi siamo nella storia e nella natura. Non si può assistere alla storia come si assiste a un tramonto. 

   Lasciarsi scorrere anche un fiume addosso, ma saper arginare la storia, perché anche un minimo di resistenza, una piccola pietra di fiume, può mutarne il corso.


Cuesta Blanca (Cordoba, Argentina).

Vasi di coccio


Nel viaggio il tesoro si porta in vasi di coccio, sia esso l'olio lucente dell'ulivo, la farina buona del pane, il vino inebriante della gioia. Nella natura di questi tesori vivi della terra è l'esser riposti in materiali umili, per non far gola ai briganti, ma soprattutto per bisogno di respirare. 
Vasi destinati a sgretolarsi, vasi umili perché il tesoro non sia mai confuso con chi lo porta. Sapienza dello spirito mediterraneo dinanzi al pericolo sempre incombente dell'idolatria umana, dell'uomo che dinanzi all'idolo senza rimandi nell'assenza di dialogo ingigantisce l'io. 

Non confondere la lampada con la luce, il vestito con la persona, l'acqua con la sua coppa. 

Veicoli destinati a sgretolarsi, mezzi, strumenti, che in quanto tali dovrebbero essere agili, coscienti della propria inessenzialità.  

Servo inutile, perché l'essenziale è ciò che porti, ciò che ti è stato affidato, non il tuo io: non il candelabro, ma la luce. E quando si confonde il mezzo con il fine, la luce si distacca e appare altrove, quasi per ribadire la sua infinita alterità, disposta ad avvicinarsi fino all'estremo humus ma per portarlo in alto, incapace di smettere di esser luce perfino tra le tenebre più oscure che non possono sopraffarla. 

Allora bisognerebbe essere umili come un puledro d'asina, sciolti da qualcuno giusto il tempo del servizio, quasi rubati al tempo della quotidianità per poi farvi ritorno.  

Un padre, forse, che ha perso tutto, in questo momento mi appare come il segno più bello della paternità, amore che regna da una croce.

lunedì 28 settembre 2015

Ritrarsi




Ho notato nei migranti di seconda o terza generazione nel Sud del mondo, non quindi in quelli di oggi, ma nei nipoti dei nostri conterranei spostatisi all'estero fin dagli ultimi anni dell'800, la trasmissione di un oblio, oltre che di una memoria. 

Non sanno, in molti, di dove fossero i loro genitori, o i loro nonni. Qualche nome o traccia di memoria sospeso qua e là... "mia nonna mi parlava"... ma poi la voce doveva affogare o trattenersi, nel tener dentro qualcosa che doveva negarsi per far posto al nuovo mondo. C'è una teoria teologica dell'Ebraismo secondo cui persino Dio si sarebbe dovuto ritrarre per far posto al mondo.

Compagni di viaggio




Mi viene in mente, adesso, un gruppo di volti. Quello di quei compagni o compagne di viaggio che nella vita risultano decisivi quanto apparentemente effimeri. Persone che ti trovi accanto per caso in trasvolate transoceaniche o in tragitti più o meno lunghi di treno o di corriera.

Dai contadini che iniziarono a narrarci le cose che facevano in campagna in un viaggio Torino-Messina di tanti anni fa, fino a una dolce signora che lavora in missioni all'estero in Paesi lontani, conosciuta nell'ultimo viaggio, passando per la mamma di un uomo che mai capii se scomparso o meno nella tragedia delle Torri Gemelle, posto che lei, nel raccontarmelo, dimenticava a tratti che quella tragedia fosse realmente avvenuta.  

Non c'è una parola per definire questa compagnia, quel dialogare che diventa una sorta di delicata intimità. Uno scambio angelico. Forse un tipo di rapporto profetico di modalità metastoriche o originarie, in cui la conoscenza non esaurisce l'altro, e non può farlo, per la brevità del cammino, ma procede in intensità come se ci si conoscesse da sempre, come se il mondo cominciasse con la partenza e terminasse... oltre l'arrivo.

E si sparisce.


Riposare in un ricordo




   Non è un consiglio, ma il racconto di un'esperienza.


   Capita, in un lungo viaggio, di fermarsi a ricordare: riportare al cuore qualcosa, o anche tornare in un luogo in cui siamo stati bene, in cui il cuore riposa.

   Non è difficile chiudere gli occhi e ritrovare, d'un battito, una dimensione della propria infanzia, un contorno che non era per nulla un confine, uno spazio in cui il dentro e il fuori stavano in equilibrio.

   Noi non eravamo nemmeno sguardo, ma una semplice membrana che permetteva uno scambio osmotico come il respiro di una cellula.

   (So già che state pensando dove tornereste voi, o dove ve ne andreste. A questo punto perché confondervi dicendo dove me ne andrei. Non sia mai perdiate la strada del ritorno, in quel caso potremmo incontrarci lungo uno dei miei mille cammini.)



Iguazù





domenica 27 settembre 2015

Fondali




   Confrontarsi con volti nuovi, ma anche con luoghi e contesti diversi. Scoprire ancora una volta la vivacità della provincia, il fatto che ciò che è un po' più lontano di solito si presenta più mobile e variegato, anche nella sua ferialità, rispetto al centro in cui si avverte maggiormente il cigolio della ruota.

   Aver visto questo già piccolo mondo divenire sempre più piccolo e periferico dalle grandi distanze. Probabilmente è così che vede il mondo chi migra: farsi sempre più piccolo e poi sparire, risucchiato per sempre nel cuore ma sottratto alla vista esteriore. E si dischiude un passaggio nel nulla che è rischio estremo, ignoto, nulla, scommessa tra morte e rigenerazione.

   In questi giorni cambiano le quinte di questo piccolo mondo alla cuspide di un'isola. Movimenti che da quelle distanze pensavo non mi sarebbero più interessati ora li guardo, sì, ma con un certo distacco, e con quel pizzico di ironia che è necessaria alla riflessione. Partire è fare vita, tempo e distanza, distaccarsi dall'esperienza e guardarla in un punto che non è il sé e non è il mondo. Se ne guadagna in pensiero e in autonomia e anche in salute.


(E va bene così. Forse siamo già partiti, o abbiamo semplicemente ingranato il ritmo giusto del viaggio, sia esso definito dall'allegro rombo di un motore che viaggia moderato, fino a non sentirsi, sia quello dato da quei segnali tra l'uomo e il cavallo che solo una certa dimestichezza sa dare. C'è ancora posto, se qualcuno volesse ancora salire).




Per cominciare






   L'idea che mi guida nel proporre le mie riflessioni su questo spazio è quella di una certa autonomia dai condizionamenti imposti dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione attualmente in voga. Carta stampata, social network, riviste online non solo inframezzano alla proposta del proprio pensiero una serie quasi illimitata di stimoli per nulla neutri e disinteressati, ma impongono a chi scrive il confronto con scriventi ed aree di comunicazione che non nascono da una selezione personale, ma da un servizio meccanizzato che decide per me, e anche per voi, cosa più vi sarebbe utile e gradito in un'ottica squisitamente commerciale. 

  Sperimentare uno spazio più autonomo forse mi permetterà una riflessione non reattiva, più simile al narrare le proprie impressioni da parte di chi viaggia. Da viaggiatore/camminatore solitario so cosa intendo, ovvero quel distacco che avviene nel momento in cui si parte dal proprio mondo, dai contesti usuali, e dalle reti di stimoli che li contraddistinguono, che permette, ancor prima di arrivare a una meta, l'emergere della propria originalità e, in una parola, della vita stessa. 

  Questo vorrei continuare a donare, senza mediazione se non quella dell'immagine/parola che dalla vita prende il volo senza troppo bisogno di raccontarla.