Nel viaggio il tesoro si porta in vasi di coccio, sia esso l'olio lucente dell'ulivo, la farina buona del pane, il vino inebriante della gioia. Nella natura di questi tesori vivi della terra è l'esser riposti in materiali umili, per non far gola ai briganti, ma soprattutto per bisogno di respirare.
Vasi destinati a sgretolarsi, vasi umili perché il tesoro non sia mai confuso con chi lo porta. Sapienza dello spirito mediterraneo dinanzi al pericolo sempre incombente dell'idolatria umana, dell'uomo che dinanzi all'idolo senza rimandi nell'assenza di dialogo ingigantisce l'io.
Non confondere la lampada con la luce, il vestito con la persona, l'acqua con la sua coppa.
Veicoli destinati a sgretolarsi, mezzi, strumenti, che in quanto tali dovrebbero essere agili, coscienti della propria inessenzialità.
Servo inutile, perché l'essenziale è ciò che porti, ciò che ti è stato affidato, non il tuo io: non il candelabro, ma la luce. E quando si confonde il mezzo con il fine, la luce si distacca e appare altrove, quasi per ribadire la sua infinita alterità, disposta ad avvicinarsi fino all'estremo humus ma per portarlo in alto, incapace di smettere di esser luce perfino tra le tenebre più oscure che non possono sopraffarla.
Allora bisognerebbe essere umili come un puledro d'asina, sciolti da qualcuno giusto il tempo del servizio, quasi rubati al tempo della quotidianità per poi farvi ritorno.
Un padre, forse, che ha perso tutto, in questo momento mi appare come il segno più bello della paternità, amore che regna da una croce.
Nessun commento:
Posta un commento