Esistono pietre grosse che modificano il corso di un fiume.
Massi grandi come case, su cui puoi sedere con un bastone in mano e vedere come
là sotto l’acqua è costretta a fare un giro, come se tu fossi su una piccola
isola.
Esistono pietre che si ricoprono di limo e di alghe, e che
via via, pian piano diventano tutte verdi e lisce, pericolose per chi guada il
fiume, perché si rischia di scivolare. Su di esse il fiume passa rapido, non si
sa se hanno deciso di assecondarne il corso o se si sono arrese per troppa
debolezza.
Da bambini sui fiumi giocavamo a spostare le piccole pietre,
costruire piccole dighe, chiudere minuscoli laghetti, creare cascate.
Non sempre il corso va assecondato. In taluni casi essere
resistenza, diga, filtro può essere utile a trattenere masse che potrebbero diventare
tragedia.
In altri casi se ti poni come ostacolo a un flusso, rischi
di soccombere alla forza del flusso inarrestabile.
In altri è doveroso.
Facile la politica che asseconda il flusso, che più che
ascoltare le istanze dell’etica e della storia, risponde agli istinti più bassi
e immediati: di violenza e vendetta, e non di giustizia, di vita facile più che
di responsabilità.
Facile il giornalismo che va incontro al senso comune, alla
sete morbosa, alla curiosità, al linciaggio.
Il senso critico è ruvido, ma è filtro, crivello, setaccio
che aiuta a discernere con libertà e ragionevolezza.
Le piccole onde del fiume battono su di me. Una leggera
schiuma tra i capelli. La frescura dell’acqua nella gola.
Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. Nemmeno
una volta. Tutto scorre.
Ma il rapporto tra le pietre e il fiume è un concerto
eterno, un’opera di filtraggio secolare.
Trasparenze, specchi, improvvise aperture e balze. Un fluire
che è discontinuo come la vita, filamenti di una rete che la disegna e la
tesse. No, non sarò mai pietra liscia.
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