La critica è un surplus che rischia di essere retorico laddove l'espressione artistica è talmente precisa nella sua offerta da non richiedere alcuna parola. Questa, semmai, può avere la funzione di presentare, far conoscere, aprire una prospettiva su un materiale, sulla quale il recettore può modellare le proprie considerazioni, e disporsi a ricevere gli stimoli alieni in un primo enfoque che poi può anche mutarsi, arricchirsi, integrarsi, finanche annullarsi, come la memoria del primo incontro con una persona che poi si smarrisce nella storia della relazione con essa.
E di poche parole si professa Matias Guerra, esponente tra i più interessanti della ultima generazione degli artisti saltegni, un giovanissimo argentino che fin dalla primissima giovinezza ha trovato nel mezzo fotografico il modo più efficace di trasmettere quel che sente (è autore anche di video e di installazioni). La sua opera silenziosa, che costituisce il suo verbo laico e sagrado, si divide nella provvisoria rilettura che lui stesso ne offre in tre parti: la prima in cui attraverso l'obiettivo il fotografo mette a fuoco i propri sentimenti, accadimenti personali e interiori, anche ricorrendo all'autoritratto, con riferimento perlopiù a sentimenti tristi o di disgusto, rispetto ai quali la fotografia assume una valenza di superamento; la seconda, in cui il linguaggio artistico si arricchisce attraverso la referenza a correlazioni oggettive, situazioni in cui la natura e la materia convivono anche attraverso la presenza sinergica di elementi moderni e tradizionali, con particolare attenzione al tema del tempo e della perdita, e la fotografia acquisisce ulteriore valore di rispecchiamento e di elaborazione/integrazione; la terza fase, quella attuale, in cui il rinvenimento di una modella/amica d'infanzia aiuta a rendere reale l'aspetto onirico, a ritrovare le temp perdue quando esso è ancora molto vicino, specialmente attraverso ritratti di capelli in movimento in cui la chioma della modella diviene espressione di libertà, "libertà come movimento intorno all'aria", chiosando, forse senza saperlo, frammenti del presocratico Anassimene o degli antichi atomisti. In tal modo la memoria si apre al passato remoto dell'infanzia e al recupero di suoi momenti fondamentali, anche opposti ("tristi o felici") e la referenza femminile diviene prospettica attraverso le tre ipostasi che si manifestano nel gioco rappresentativo: la giovane amica, la madre, l'anziana nonna. Un percorso di approfondimento del sé che, seppure volto nel suo primo principio al superamento di impasse interiori, diventa empactante per la straordinaria nitidezza, la precisione formale. Una fotografia che ha la materia del vento ma che già è linguaggio originale, unico, riconoscibile: è Matias Guerra.
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